Monday, January 4, 2010

Whole Foods Market


Il New Yorker ha pubblicato recentemente un articolo su una figura piuttosto emblematica degli ultimi trentanni in America: John Mackey, uno dei guru più in vista del do-gooder establishment. Per i vegetariani d'America, Mackey è la delizia e la croce del movimento: è lui infatti il presidente della cooperativa Whole Foods Market, una catena di negozi per vegetariani, nata nella città di Austin (Texas) e da lì proliferata in parte della Nazione. Croce e delizia, si diceva, perché ultimamente sono emerse circostanze a dir poco “ombratili” sulla vera missione di Mr Mackey: gli Stati Uniti si interrogano, buon vegetariano o affarista senza scrupoli?

La storia di Mackey e di Whole Foods prese le sue prime mosse da un libro: “The Engine 2 Diet” scritto da Rip Esselstyn, un pompiere di Austin, ex-campione di triathlon. Del “trattato” di Esselstyn si è detto che abbia rivoluzionato il “movimento vegetariano” americano. In breve, Esselstyn sostiene che ogni uomo debba farsi simile ai conigli e si dovrebbe cibare esclusivamente di vegetali. Mackey era da tempo un vegetariano e il libro lo aiutò nella rinuncia di oli vegetali, zucchero e tutto ciò che un “vegerianesimo liberale” ancora consentiva. Il passo successivo fu imporre il suo Verbo agli altri vegetariani e Whole Foods ne è l'incarnazione: Mackey ama pensare la sua azienda come un bambino di cui lui è il padre; e tratta tutti i suoi dipendenti come figli, a cui si riferisce non con la parola “employees” (dipendente), ma “team members”. Si badi bene che anche McDonalds applica la stessa nomenclatura ai suoi lavoratori.

Spiegata la particolare visione alimentare e di vita di John Mackey, cos'è Whole Foods? Il più grande distributore di prodotti organici in tutto il Nord America che recentemente ha trovato la sua testa di ponte per l'Europa nella Gran Bretagna. C'è chi però dice che dietro la facciata di affarista solidale, si nasconda un capitalista senza scrupoli. Voci confermate da un episodio recente: la causa inficiatagli dalla seconda amministrazione Bush per aver tentato di comprare, con metodi non poco ortodossi, la Wild Oats, vale a dire la prima azienda nazionale nella produzione di cereali; “corner the market” è l'espressione che negli States significa creare un monopolio economico, che è poi l'accusa che Mackey si è visto rivolgere dall'antitrust americano.

Ultimamente, si vocifera che il capitalista vegetariano voglia sbarcare in alcuni Paesi europei, oltre alla Gran Bretagna. Quindi, se un giorno uscendo di casa, girerete l'angolo e vi troverete di fronte a un negozio Whole Foods, non dite che non vi ho avvertito. Sarà comunque un pezzo d'America.

Wednesday, December 30, 2009

DiPalo's in Grand Street


Con la depressione economica, anche i giornali si adeguano. Niente più ricostruzioni di un glorioso passato (come le tante pagine dedicate alla Jazz Age, vale a dire i ruggenti anni '20 del novecento), ma ricostruzioni minuziose della crisi del '29. Forse per esorcizzare il fantasma di una ricaduta più forte. Il New York Times sta dedicando una serie di puntate proprio alla Great Depression. Ad “aprire le danze” è la storia della famiglia Di Palo. Sin dal primo decennio del novecento Di Palo's è divenuto un luogo imprescindibile a New York dove acquistare prodotti italiani di qualità. Perciò il giornale newyorchese ha deciso di tributargli l'onore delle armi, a dimostrare che la famiglia italo-americana è riuscita a superare la vecchia crisi economica e supererà anche la nuova.

La storia di ogni famiglia inizia con un capostipite; per i Di Palo fu Savino Di Palo che immigrò a New York nel 1903. Di fatti tra il 1880 e il 1920 molti italiani lasciarono il loro Paese nativo per gli Stati Uniti; in maggior numero dal Sud Italia. Proprio come Savino che era nato in Basilicata. Una volta aver passato tutti i controlli di rito nel famigerato ufficio immigrazione di Ellis Island, Savino va ad abitare a Little Italy, dove nel 1910 apre un dairy-store. Il giovane italiano si era lasciato tutto alle spalle, la fattoria dove viveva e lavorava, ma soprattutto i suoi cari che lo raggiungeranno quattro anni dopo. Sono gli anni del grande boom economico sotto i presidenti Theodore Roosevelt, a cui succede William Taft, poi il più famoso Woodrow Wilson (che traghetterà l'America fuori dalla Prima Guerra Mondiale), Harding, Coolidge, Hoover. Per i Di Palo sono anni invece di grande espansione economica (con la nascita della figlia Concetta e successivamente dei nipotini, Savino arriverà a possedere due dairy store) e soprattutto di affermazione: da allora i newyorchesi acquisteranno da una sola parte i salami, la pasta, i formaggi , e altri prodotti italiani: da Di Palo's in Grand Street.

La storia della famiglia Di Palo rende bene l'idea del contributo che la cultura italo-americana ha dato nel formare la mappa della più ampia cultura americana (ammesso che i confini di questa mappa non siano indefiniti, poiché in perenne movimento). Sta di fatto che i Di Palo sono la prova vivente che il sogno americano funziona ancora.


Tuesday, August 18, 2009

Fernanda Pivano (18 luglio1917- 18 agosto2009)


Addio Nanda, sei stata un faro nella notte, e un modello ... stasera piangerò per te.

Monday, August 10, 2009

The Bonfire of The Vanities


I recently re-read a book which has won the name of contemporary classic, The Bonfire of The Vanities. The novel by Tom Wolfe tells the story of Sherman McCoy, stockbroker at Wall Street- who calls himself Master of the Universe-, who has a 1 million dollar revenue and who lives in a luxurious apartment in Park Avenue. He loses all when driving, along with his mistress Maria Ruskin, his car runs over Henry Lamb- a black student from Bronx-. McCoy is then caught up into a sort of playing-at-chess-game with his destiny: the Bronx Attorney Abe Weiss, the Assistant Attorney Larry Kramer (a lustful and envious guy), Reverend Reginald Bacon (a black episcopal ministry that controls the black community for his own ends), and alcoholist journalist Peter Fallow, all use Sherman McCoy as their scape-goat to be burnt on the bonfire of the vanities.
The book is a huge human comedy in the style of Balzac, Flaubert and Zola- the masters of Naturalism; but, more than that, it is the first attempt, after half-century of the American novel focusing on the self, to bring the realistic novel back into the American letters: only Frank Norris with A Hazard of New Fortunes succeeded to picture New York and his commercial-now financial- greed. The book has all the common traits of such a novel: the protagonist Sherman McCoy is a fallen man into a world of grudge, lust and above all vanity; and more important, no character at all is saved in this novel: they're all burnt on the huge bonfire of the vanities,as they all give up their moral duty to achieve their own ends (and whims). This is particularly evident in the case of the Assistant Attorney Larry Kramer whose actions are moved by lust and envy of the rich Sherman McCoy. For example, he craves McCoy's mistress, Maria Ruskin, and in doing so he spoils the case.
Tom Wolfe's novel pointed a new path to the American novel: after new journalism, a new realism.

Saturday, July 25, 2009

America On The Road


Per chi amasse come il sottoscritto gli Stati Uniti e li volesse visitare in maniera un po' "alternativa" segnalo questo sito in cui sono incappato: http://www.menichella.it/viaggi/usa/itinerario.htm

Si propongono diversi itinerari on the road e una tabella di marcia piuttosto precisa. Buon divertimento!

Monday, May 25, 2009

Per il fronte con furore: lettere per Pin-Ups



E' ancora una volta il New York Times a pubblicare un articolo interessante che anche una finestra sull'amore d'altri tempi, talvolta prorompente e il più delle volte impudico.
Protagonista è Donna Reed, la prima "pin-up" della storia americana e oggetto del desiderio di un'intera nazione. Si tratta in questo caso delle lettere che le venivano indirizzate dal fronte dai soldati americani. In realtà, la consuetudine di inviare lettere alle stelle di bellezza locali, non colpiva allora solo Donna. Era il 1944 e gli Stati Uniti erano ancora impegnati in guerra e così i aviatori, privates e marinai, dall'Europa al Pacifico, mandavano vere e proprie vagonate di lettere alle più famose attrici di Hollywood; nella speranza di ricevere una risposta e magari provare un brivido di libidine nel scartare la carta da lettere, trovandovi all'interno una foto autografata. Per capirsi, è come se adesso i soldati americani in Iraq inviassero, email con richiesta di foto, a Scarlett Johansson oppure a Sharon Stone. Solitamente le missive raggiungevano gli Studios dove si ripsondeva inviando semplicemente una cartolina autografata.
La maggior parte di quest'annosa corrispondenza è andata perduta, tranne quella che riguarda Mrs Reed che ha conservato le lettere in una scatola per scarpe. Le missive dal fronte sono state rese pubbliche dai figli di Donna Reed, morta a 64 anni nel 1986. Come questa: "It has been a long time since any of us boys have seen a woman, so we are writing to you in hopes that you’ll help us out of our situation.Since we know that it’s impossible to see a woman in the flesh, we would appreciate it very much if you could send us a photo of yourself".
La politica delle pin-ups veniva sostenuta anche dal governo, una nuova estetica della donna, o una vera industria, tesa a tirare su il morale delle truppe oltre-oceano: erano icone come Betty Grable, Rita Hayworth e Dorothy Lamour, solo per citare alcune, che riempivano gli zaini di uomini che combattevano una delle guerre più sanguinose della storia umana, per difendere quegli ideali che quelle bellezze rappresentavano.

Monday, May 18, 2009

In search of the lost depression


Con la depressione economica, anche i giornali si adeguano. Niente più ricostruzioni di un glorioso passato (come le tante pagine dedicate alla Jazz Age, come alle glorie militari della guerra di seccessione americana), ma ricostruzioni minuziose della crisi del '29; forse per esorcizzare il fantasma di una ricaduta più forte.
A tal proposito, da un po' di tempo, il New York Times propone dei video interessanti, come quest'ultimo http://www.nytimes.com/packages/html/national/thenewhardtimes/index.html?ref=us#/dipalo
dove la famiglia italo-americana Di Palo racconta la sua epopea commerciale dal 1925 ad oggi ...