Vogliamo dare inizio al nostro viaggio nella letteratura americana con un autore che sin dall'ultimo anno di superiori mi è entrato nel cuore: Truman Capote. Prima di tutto, però, è buona educazione che l'autore di questo blog si presenti: sono un laureando in Lingue e Letterature Straniere con la passione della letteratura americana e della scrittura. Queste pagine vogliono essere un diario, diciamo così, per riflettere, divulgare e scoprire la letteratura americana.
Per molti contemporanei il successo letterario e mediatico ottenuto da Truman Capote, nel bene e nel male, fu un mistero. Come avesse fatto uno sconosciuto “efebo” di Monroeville (Alabama) a diventare lo scrittore più famoso della New York degli anni '50 e '60, nessuno se lo seppe spiegare; ma soprattutto, da dove avesse ricavato uno stile così limpido, perfetto, quasi unico nella prosa americana, che gli valse il plauso di Norman Mailer, il quale lo definì: “the most perfect writer of my generation”, è rimasta una domanda senza risposta.
Truman Capote nacque Truman Streckfus Persons a New Orleans il 30 settembre 1924, da Lilli Mae, madre incostante e modaiola (che inseguirà per tutta la sua esistenza il sogno di una vita benestante), e Arch Persons, un commerciante squattrinato, sempre alla ricerca dell'affare che lo rendesse miliardario. Con due genitori del genere Capote viene ben presto affidato alla famiglia materna, a Monroeville. Lì rimarrà fino al 1938, quando a soli undici anni si trasferirà a New York con la madre e il patrigno Joe Capote; dal quale in seguito riceverà il cognome. Dopo aver bazzicato vari college, ottiene il diploma con un anno di ritardo presso la Franklin School di Manhattan. Sarà lo stesso Capote a dichiarare: “I wasn't much interested in school. I used to go home from school every day and I would write for about three hours. I was obsessed by it”.
E difatti, una volta libero, si dedicò con grande slancio alla carriera letteraria: dopo aver pubblicato un pugno di racconti su Mademoiselle e Harper's Bazar, nel 1948 riesce a pubblicare il suo primo romanzo, Other Voices, Other Rooms. E' questo il racconto, in toni gotici e surrealisti, del viaggio del giovane John Knox in un Sud immaginario, dove la realtà viene distorta dalle paure e dalle ansie dell'adolescenza. Un inizio in salsa gotica, quindi, che proseguirà, in toni quasi favolistici, col secondo lavoro di Capote, The Grass Harp (1951). Nonostante l'atmosfera da idillio, il romanzo verrà definito dall'autore stesso come un primo passo verso: “the new realistic art-form. For me that novel was very real”. E poi: “My life can be charted as precisely as a fever. [...]Other Voices, Other Rooms, was a satisfying conclusion to the first cycle in my development”. Tra il '51 e il '58 si dedicherà poi all'attività giornalistica, pubblicando reportage, ritratti e impressioni sul New Yorker.
Breakfast At Tiffany's chiuse il secondo ciclo nel 1958. Truman Capote si riferì più tardi agli anni cinquanta come “my first start towards a new art-form”, la non-fiction novel. Sono di questo periodo, infatti, i primi esperimenti non-fiction, quali The Muses Are Heard (un reportage acutissimo, e in parte comico, sulla compagnia teatrale di Porgy & Bess e la sua tournée in Russia) e The Duke in His Domain, un'intervista a Marlon Brando; ma anche i lunghi viaggi in Europa, le amicizie altolocate (i coniugi Paley in primis), e soprattutto l'incontro con il compagno di una vita, Jack Dunphy.
Il '59 è invece l'anno cruciale nella vita di Capote; una data spartiacque. “The reason was I wanted to make an experiment in journalistic writing, and I was looking for a subject that would have sufficient proportions” dichiarò. E' sul New York Times che una mattina lo scrittore legge dell'assassinio della famiglia Clutter a Holcomb, in Kansas. Due giorni dopo è sul posto. “I saw this item on the New York Times, "Kansas Farmer Slain. Family of Four Is Slain in Kansas." A little item just about like that."Well, that will be a fresh perspective for me"... And I said, "Well, I’m just going to go out there and just look around and see what this is ”. Resterà sul caso per ben sei anni, vivendo a cavallo tra il Kansas, New York e l'Europa, e nello stesso tempo conducendo ricerche, interviste, e sopralluoghi. Il frutto di questo intenso lavoro di ricerca è la non-fiction novel (termine coniato dall'autore stesso) In Cold Blood (1966). E' questo un romanzo, come vedremo in seguito, dove giornalismo e letteratura convivono sotto lo stesso tetto.
Tuttavia, secondo Gerard Clarke: “In Cold Blood was the beginning of the end” . Infatti, se assicurò a Capote fama mondiale, allo stesso tempo lo distrusse sia fisicamente che mentalmente. Oltretutto, le sue speranze di ricevere i giusti riconoscimenti, quelli dell'establishment letterario, rimasero inesaudite. “I longed so badly for some awards...” aveva confessato a un amico. Tutto ciò esaurì il suo sistema nervoso. Perse, insomma, quelle doti di concentrazione e disciplina, che sono necessarie a ogni scrittore; specialmente a un maestro dello stile, quale lui era. Peggio ancora, iniziò ad abusare di alcool e droga.
Nel decennio che precedette la sua morte, la sua scrittura subì difatti un collasso. Sempre più un alcolizzato, non fece che viaggiare, scrivere ogni tanto, ma soprattutto spassarsela. E nonostante continuasse ad annunciare l'uscita di un nuovo romanzo (Answered Prayers, pubblicato infine postumo nell'87), in realtà, se si eccettua ciò che uscì in Music for Chameleons (una raccolta di racconti, reportage e impressioni), Capote passò i suoi ultimi anni conducendo uno stile di vita che gli valse, tra i contemporanei, la nomea di “scrittore maledetto”. Non cercò nemmeno di dissimularlo, quando dichiarò, in una sorta d'epitaffio: “I'm an alcoholic. I'm a drug addict. I'm homosexual. I'm a genius”.
Morirà a soli 59 anni, il 25 agosto 1984, a Palm Springs, tra le braccia della fedele amica Joanne Carson. “I'm cold” mormorò in ultimo.